Ce ne sono di ogni tipo, immigrati permanenti o temporanei, operai, ricercatori, imprenditori, figli dei figli, oppure approdati per una delle tante ragioni possibili. Come sono visti oggi, in particolare nelle regioni di frontiera?
La più grande comunità straniera ha il carattere eterogeneo che ne rende difficile una categorizzazione sistematica. Attratti da condizioni economiche migliori o da minore burocrazia, le ragioni che hanno gli Italiani per venire in Svizzera sono tante quante le storie di ognuno di loro. Oggi, le conseguenze della crisi economica in Italia hanno rilanciato gli arrivi, ben diversi da quelli del passato. C’è da capire, soprattutto di fronte all’ennesima iniziativa contro l’immigrazione, quanto i cugini elvetici vogliano davvero bene agli italiani.
Nell’Ottocento la Svizzera si era trasformata in un cantiere aperto e aveva bisogno di braccia. Prima dal Nord e poi dal Mezzogiorno, furono in molti a proporsi come operai, camerieri e pura manovalanza. L’idea era di guadagnare e poi, forse, ritornare in Italia. Furono seguiti poi, in vari momenti storici, da rifugiati politici e imprenditori in cerca fortuna. Se la prima generazione era a caccia di lavoro, la seconda, munita di doppio passaporto e capace di parlare la lingua, era italiana nel cuore, ma svizzera nei fatti. Già alla terza i confini sono più offuscati: la poca offerta di corsi d’italiano non aiuta di certo a conoscere la lingua dei nonni. I giovani di terza generazione magari tifano Italia ai mondiali e hanno una macchina da macho, ma chissà quanti di loro hanno messo piede in Italia.
Ad affacciarsi in Svizzera da qualche anno a questa parte, invece, è la generazione “mille euro”. Laureati, imprenditori e professionisti che non vogliono accontentarsi di ciò che si offre loro in terra natìa. Parlano inglese, cercano di conoscere italiani ma non perdono l’occasione di incontrare altri expat. L’integrazione con la gente del posto non è scontata, a meno che non la si cerchi a tutti i costi o non si parli la lingua del posto. E poi integrarsi non è più così indispensabile: con l’alta velocità si arriva a casa in tempi ragionevoli e si possono tranquillizzare i propri cari via skype anche ogni sera. Le distanze si sono accorciate e la malinconia può essere combattuta senza neanche doversi affidare alle tante associazioni createsi in passato per raggruppare gli italiani all’estero. In fin dei conti, l’importante è essere pagati bene senza essere dissanguati dal fisco italiano.
I frontalieri o come logorare le relazioni tra italiani e svizzeri.
Un ultimo gruppo, ma di sicuro il più discusso, è quello dei frontalieri, poco classificabili per generazione o status, che attraversano quotidianamente il confine con il Ticino, alla stregua del protagonista della serie satirica Frontaliers Roberto Bussenghi. Si tratta solo di sketch comici, in cui però ci si possono riconoscere i quasi 60mila italiani, un numero sempre in aumento e sempre più discusso.
Ponendosi la domanda su come sia percepita la comunità italiana in Svizzera, è necessario scindere la questione in due parti. Da un lato non esiste più una comunità omogenea che possa essere amata o odiata. Dall’altro, malumori già manifestatisi in passato si ripresentano nei confronti dei frontalieri, come si apprende da iniziative come quella “Contro l’immigrazione di massa”. Sebbene Berna ricordi quanto l’economia necessiti della libera circolazione delle persone, in Ticino non la pensano così in tanti, tra cui i Verdi, che si sono staccati dalla linea nazionale per sostenere l’iniziativa.
Nel cantone al di là delle Alpi gli stranieri, prevalentemente italiani, sono accusati di essere la causa di disoccupazione crescente e dumping salariale. Dal canto loro, i datori di lavoro non esitano a giocare al ribasso, sapendo di poter proporre salari che non arrivano al minimo svizzero ma sufficienti ad attirare stranieri. Il vero problema per il Ticino riguarda le proporzioni tra stranieri e autoctoni: un quarto della popolazione residente viene dall´estero, la metà di questa dall´Italia. I frontalieri sono pari a un sesto della popolazione residente e circa un quarto degli occupati (Si veda O. Gonzalez, La vigorosa progressione dei « nuovi » frontalierei in Ticino, Ufficio di Statistica, Maggio 2013). Per molti Ticinesi il messaggio è chiaro: chi vuole lavorare in Svizzera deve rispettare le regole del mercato svizzero. E, sebbene la situazione sia meno grave di quanto generalmente descritta, non devono sorprendere né i timori di gran parte di loro che vedono regredire le condizioni di lavoro né le accuse mosse verso chi si sottomette a questo sfruttamento.
In conclusione si può quindi dire che gli italiani sono ancora i cugini, ma come spesso succede, le relazioni tra parenti non sono mai facili. Tuttavia, se il problema fosse di facile soluzione, sarebbe già stato risolto. Comunque sia, invece di accusarci l’un l’altro, uno sforzo comune sarebbe certamente più utile.