La clausola bottom-up elaborata dal Professor Ambühl su mandato del Cantone Ticino sembrerebbe essere l’uovo di Colombo, nell’ambito dell’applicazione del 9 febbraio. Sta ora alle camere federali costruire attorno a questa proposta una serie volontà politica che prediliga la priorità alla manodopera indigena (limitazione qualitativa compatibile con l’Accordo sulla libera circolazione delle persone [ALC]) ai contingenti (limitazione quantitativa incompatibile l’ALC). Il risultato delle negoziazioni tra Regno Unito e Unione Europea dimostra che ciò è possibile.
Sono mesi importanti per il futuro delle relazioni bilaterali tra Svizzera e Unione Europea.. Dopo una serie di dialoghi esplorativi, l’UE ha deciso di sospendere ogni discussione sulla libera circolazione fino al 23 giugno. Il Consiglio federale ha da poco presentato il suo piano B, una clausola di salvaguardia unilaterale (incompatibile con l’ALC), qualora i negoziati con Bruxelles dovessero rivelarsi infruttuosi. Ambo le parti e tutti i gruppi d’interesse sono concordi nel ritenere una clausola di salvaguardia consensuale, secondo l’art.14(2) dell’ALC, come l’unica soluzione praticabile.
Un approccio innovativo e costruttivo
La clausola bottom-up, elaborata dal prof Ambühl e su mandato del governo ticinese, permette al Canton Ticino di contribuire al dibattito nazionale nell’inconsueto ruolo di attore propositivo. L’approccio federalista e depoliticizzato del modello potrebbe, con un ulteriore sviluppo, essere applicato anche ai flussi migratori e non solo al frontalierato per cui è stato pensato conformemente al mandato ricevuto. Considerando che limitazioni quantitative all’ALC (ad es. contingenti) non sono fattibili, la clausola bottom-up permetterebbe di intavolare una discussione in merito a delle limitazioni qualitative della libera circolazione (come la preferenza indigena), senza mettere tuttavia in discussione i principi fondamentali su cui è fondata l’UE.
Infatti, in febbraio il Consiglio europeo ha discusso la questione Brexit, ribadendo che la libera circolazione dei lavoratori può “essere soggetta a limitazioni per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza, sanità pubblica, e d’interesse pubblico.” Tra queste limitazioni, la promozione di assunzioni, la riduzione della disoccupazione, e la protezione di lavoratori vulnerabili figurano come misure non solo accettabili, bensì riconosciute dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Ovviamente però, l’applicazione di queste misure non può prescindere da un’analisi caso per caso, supportata da “considerazioni obiettive e proporzionate allo scopo legittimamente perseguito.”
Compatibile con l’ALC
Quanto esplicitato in relazione alla questione Brexit potrebbe fungere da base negoziale fra Svizzera e UE in merito a un’interpretazione condivisa dell’art.14 dell’ALC. Esso prevede che il Comitato misto, “in caso di gravi difficoltà di ordine economico o sociale, può decidere delle misure adeguate e limitate nel tempo per porre rimedio a gravi difficoltà di ordine economico e sociale.” La clausola bottom-up promossa dal Canton Ticino s’inserisce perfettamente in questa logica, sia definendo concretamente le difficoltà della questione trattata, sia proponendo interventi puntuali e mirati. Un’applicazione del modello ai flussi migratori permetterebbe, infatti, di intavolare delle negoziazioni con possibilità di successo, basate su criteri d’analisi oggettivi e nel rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.
Per uscire dall’impasse in cui versano le relazioni bilaterali con l’UE dal 9 febbraio 2014, è evidente che sono necessarie soluzioni creative. Un’applicazione letterale dell’articolo costituzionale approvato il 9 febbraio non è fattibile, a meno di disdire completamente gli accordi bilaterali. Un approccio più pragmatico, invece, potrebbe essere quello di sottoporre all’approvazione dell’Assemblea federale un’applicazione nello spirito dell’articolo costituzionale, magari proprio sotto forma di una versione della clausola proposta dal Canton Ticino.